domenica 17 marzo 2013

Boccaccio riprodotto al millimetro


Per il settimo centenario del nostro primo, grande narratore fervono le iniziative. 
La Treccani pubblica un sontuoso manufatto: 
il manoscritto Holkham custodito alla Bodleian 

Carlo Ossola

"Il Sole 24 Ore", 17 marzo 2013

II VII centenario della nascita del Boccaccio (1313) è nobilmente illustrato dalla Treccani con il fac-simile del prezioso esemplare miniato della Bodleian Library, appena restaurato, ottenuto e restituito alle stampe italiane dalla paziente diplomazia di Massimo Bray. La magnifica veste umanistica del Ms. Holkham misc. 49 meglio permette di sottolineare il profondo rinnovamento nel narrare che il Boccaccio mette in scena, dispiegando altresì quella fortuna iconografica che Vittore Branca (in questo 2013 celebrandosi anche questo centenario della nascita) ripercorse nel suo Boccaccio visualizzato (Einaudi 1999). 
Le giornate, la brigata, le cornici sono un modo di "dar forma" alla varietà dei casi umani, elevandoli - nel bene e nel male, nella trivialità e nel tragico patire - a un'esemplarità che rimarrà nella memoria d'Europa, come ben vide Giovanni Getto (anche di questo centenario, 1913, va fatta memoria) nel suo Vita di forme e forme di vita nel «Decameron» (Pettini 1958). Il Decameron conferisce dunque, per la prima volta, autonomia di fini alla scrittura: essa - avrebbe detto Barthes - «s'intrattiene» e intrattiene, persuade a «far dimora» e insieme «trasporta»: tutta la VI Giornata, e in particolare la novella introduttiva di madonna Oretta -  vera mise en abyme di tutto il libro - insegna a come «far cammino» novellando. Essa è avvio e scioglimento (VI, 7 e 9), medicina dell'ira (VI, 4), reliquia e miracolo (VI, 10): compie il favoloso itinerario che le Mille e una notte avevano raccolto, laica Legenda aurea di una tradizione millenaria. 
Ma sarebbe tuttavia insufficiente limitare lo sguardo a quel «pronto e piacevol» dire; il Decameron, mentre celebra il comico, attesta - nelle novelle della IV Giornata - la più alta voce del tragico (certo non meno dolente che in alcuni dei personaggi dell'«Inferno»di Dante) che la letteratura italiana abbia avuto prima di Verga e Pirandello: Ghismonda, Lisabetta, Saurimonda, la crudeltà dell'amore negato, della memoria lacerata, della fine silente: «E levata in pie, per una finestra, la quale dietro a lei era, indietro senza altra di liberazione si lasciò cadere. La finestra era molto alta da terra, per che, come la donna cadde, non solamente morì ma quasi tutta si disfece» (IV, 9). 
Epopea di tutto l'umano, il Decameron è forse il primo grande testo umanistico: non tanto e solo perché laicizzi l'esperienza, condisca di beffe e burle «l'usare insieme», liberi con il «motteggiare» l'amore dagli interdetti, trafigga la «ipocresia de' religiosi» (1,6); bensì perché ricapitola sotto il segno della dignitas e della infirmitas hominis la condizione del vivere umano. Nessun altro testo era iniziato così: «Umana cosa è aver compassione degli afflitti» (Proemio, incipit), nessun altro testo finirà con l'elogio della dignità del silenzio, della stoica sopportazione, dell'invincibile padronanza di sé: la novella di Griselda meritò la traduzione in latino per mano del Petrarca e un'immensa fortuna europea, prototipo degli eroi che si costruiscono non già conquistando (come Ulisse) esperienza, ma rinunciando, riducendo il territorio della propria pertinenza pur di non abdicare mai da se stessi. Eroi «in pura perdita», dalla Félicité di Un cœur simple di Flaubert a Bartleby di Melville, alla Mouchette di Bernanos. Eroi di pura interiorità, come l'apologo dellacortesia che giunge al sacrificio di sé, nella novella di Natan e Mitridanes: «Mitridanes, invidioso della cortesia di Natan, andando per ucciderlo, senza conoscerlo capita a lui e, da lui stesso informato del modo, il truova in un boschetto come ordinato avea; il quale riconoscendolo si vergogna e suo amico diviene» (Decameron, X, 3). 
Dopo la Judith, Ester, Agar, Sarah, Susanna della Bibbia, il Decameron è il primo testo occidentale a non separare, nella donna, carne di seduzione o bellezza angelicata: le eroine del Boccaccio hanno sentimento, passione, senso e silenzio, anima e «pannicelli», ornamento e nudità. E dall'apologo di Griselda nasce, in fondo, il più esposto e il più severo giudizio politico del Boccaccio: «Che si potrà dir qui? Se non che anche nelle povere case piovono dal cielo de' divini spiriti, come nelle reali di quegli che sarien più degni di guardar porci che d'avere sopra uomini signoria» (X, io). E tanta è la forza delle situazioni d'amore che il Boccaccio suscita che persino il Tasso, dalla prosa al verso, ne avrà vivida memoria, l'episodio di Olindo e Sofronia (Gerusalemme Liberata, II, 32) modellandosi altalenerà sulla novella sesta della quinta giornata del Decameron. Il «regno della donna» impone, nel Decameron, un'ulteriore legge, tutta civile, urbana, non sancita o sanzionata che dall'altrui attenzione e rispetto: la norma della «conversazione», terrena liturgia della convivenza, nella  quale Walter Benjamin farà consistere l'unico rapporto tra uomini non gravato dalla costrizione della Gewalt, la forza che si fa diritto. Novelle come quella di monna Giovanna  e di Federigo degli Alberighi (V, 9), l'urbanità che la governa, la silenziosa malinconia che la pervadeva tanta fedeltà che riesce inane, il vano oggetto del desiderio - il falcone di cui non rimane che misero lacerto: tutto è apologo di civilitas morum, sino alla sentenza finale che suggella questo piccolo trattato di humanitas: meglio un «uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno d'uomo». Come il compimento (Griselda), così andrà letto anche l'incipit del Decameron: le prime tre novelle sono parabole de fide, tra le più acute che abbia prodotto una società conscia della profonda crisi della Chiesa e tuttavia, come nell'alta lezione del Boccaccio, non disposta ancora a rinunciare alla Grazia. «Ser Cepparello con una falsa confessione inganna un santo frate e muorsi; e, essendo stato un pessimo uomo in vita è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto» (I, i): è la credenza che fa la santità (e non la santità che garantisca il credere); «Abraam giudeo, da Giannotto di Civignì stimolato, va in corte di Roma; e veduta la malvagità de' chierici, torna a Parigi e fassi cristiano» (1,2): non è l'opera, inferma e malvagia, degli uomini che fa la Chiesa, bensì lo Spirito santo; «Melchisedech giudeo con una novella di tre snella cessa un gran pericolo dal Saladino apparecchiategli» (I, 3): il tranello del primato - «quale delle tre leggi tu reputi la verace o la giudaica o la saracina o la cristiana» - è rovesciato dal saggio: l'autenticità del lascito è nel potere del testante e non nell'erede. Tre novelle e tre sentenze: del credere, dello Spirito Santo, dell'unità nel Padre delle religioni di Abramo, con le quali, assunto tutto intero il lascito della già avanzata secolarizzazione del secolo XIV, il Boccaccio attesta tuttavia l'essenziale: che non per mano d'uomo, ma nella divina misericordia è salvezza. 
Il grande affresco del Decameron non celebra dunque soltanto l'epopea del presente, e dei suoi mercatanti; non ricapitola solo squisiti emblemi della tradizione cavalleresca e cortese per pareggiare l'irrompere, ben assestato, del «diavolo in Inferno» e della «resurrezion della carne» (III, io); e non dà dignità e voce al corpo, alla donna, per trionfare di ipocrisia e celebrare il vivente; non raccoglie in conversazione il "compatibile" e il "compartibile" tra gli uomini solo per intrattenere: ma vede soprattutto la fine del mondo che fu di Dante e di Petrarca, e nel «raccogliersi» intorno a ciò che di quell'universo rimane - l'uomo -, ne esalta le infinite risorse, celebrando la vita per saperla meglio donare: «Per che io iudico molto meglio esser quella donare, come io ho sempre i miei tesori donati e spesi, che tanto volerla guardare, che ella mi sia contro a mia voglia tolta dalla natura» (Decameron, X, 3). Liberalità, vero frutto di libertà. 

IL LIBRO 
II facsimile è la riproduzione integrale del manoscritto Holkham mise. 49, conservato a Oxford, presso la Bodleian Library. Nell'edizione Treccani sono 172 carte (340 pagine) fustellate di formato crn 26,5x35,6, con piegatura e cucitura manuali; legatura in velluto di seta rosso, piatto anteriore con impressione in oro; capitelli in cotone ecm e oro, realizzati a mano; in una tiratura mondiale di 599 copie numerate a mano (più 15 esemplari non venali fuori numerazione). Il libro è stampato su carta pergamenata Luxor delle cartiere Fedrigoni, oro a spruzzo sui tre lati del taglio; è custodito in una preziosa "scatola-libro" con coperchio a incastro e inserimento dall'alto, rivestita in piena pelle. Il facsimile è accompagnato da un volume di oltre 600 pagine, nel quale è riproposto l'intero testo del Decameron accompagnato da saggi di commento. 

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